ORTOFRUTTA: GLI ITALIANI NEL SACCHETTO

giovedì 04th, gennaio 2018 / 18:27
ORTOFRUTTA: GLI ITALIANI NEL SACCHETTO
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4 gennaio 2018. Quarto giorno della Social-revolution dei sacchetti biodegradabili a pagamento. Non si registrano vittime ma si naviga nella confusione più totale. Come spesso accade in questo simpatico paese, la legge entra in vigore prima di aver stabilito i dettagli di applicazione (o dopo le catastrofi ma vabbè).

La normativa del contendere è stata approvata dalla Camera lo scorso agosto, rientra nella legge di conversione 3 agosto 2017, n.123 del Decreto Legge Mezzogiorno ( articolo 9 bis ) e riguarda la riduzione dell’utilizzo di borse di plastica in materiale leggero. 

Il primo punto oscuro dell’acceso dibattimento sulla nuova direttiva è il prezzo. Quanto costeranno questi sacchetti?  In Rete si è scatenato il Toto-prezzo che spazia dai due ai dieci centesimi. Secondo il Corriere della Sera la cifra oscilla tra 1 e 3 centesimi, il Messaggero parla di 2 centesimi fino a un massimo di 10, mentre la Repubblica.it  schiaffa nel titolo cinque centesimi e punto. Una luce nel buio la offre invece Il Fatto Alimentare (che non c’entra niente con Il Fatto Quotidiano). Al 2 gennaio il quotidiano rileva che nelle catene alimentari di Auchan, Conda, Coop Lombardia, Coop Italia, Eurospar, Iper e Simply i sacchetti costeranno 2 centesimi mentre da Lidl e Pam ne costeranno tre.

A seguire, si discutono i motivi che hanno spinto il Governo all’approvazione. Lo slogan più  gettonato “è l’Europa che ce lo chiede” ma stavolta l’Europa non ci azzecca niente. Anzi. La nuova disposizione fa riferimento alla Direttiva (UE) 2015/720 del Parlamento e del Consiglio UE . Tale Direttiva limita l’uso dei sacchetti della spesa come quelli che già esistono – e che i supermercati hanno sostituito già da diversi anni con le borse biodegradabili a pagamento- ma non impone regole sull’uso dei sacchetti in materiale ultraleggero (con uno spessore inferiore ai 15 micron). Si legge infatti che: Gli Stati membri possono scegliere di esonerare le borse di plastica con uno spessore inferiore a 15 micron fornite come imballaggio primario per prodotti alimentari sfusi.  La lotta ai micron della plastica dunque non ce la chiede l’Europa ma il Governo italiano.

L’ira funesta della Social-guerrilla si scaglia soprattutto contro l’obbligo del pagamento. E su questo non ci piove. Il punto 5 della normativa lo impone laddove dice che: le borse di  plastica  in  materiale  ultraleggero  non  possono essere distribuite a titolo gratuito e a tal fine il prezzo di  vendita per  singola  unita’  deve  risultare  dallo  scontrino   o   fattura d’acquisto  delle  merci  o  dei  prodotti  imballati  per  il   loro tramite. Il punto 2 invece sancisce: il divieto  di  utilizzare  la plastica riciclata per le borse destinate al contatto alimentare, per cui non sarà possibile, almeno per il momento,portarsi le borsette da casa come si fa con quelle della spesa.

E qui casca l’asino, già azzoppato dal comma 5, perchè l’impossibilità di riutilizzare i sacchetti limita il diritto di scelta- se lo voglio l compro ma sennò mi organizzo diversamente- e viene percepita, giusto o sbagliato che sia, come norma coercitiva. A questo proposito, il Direttore Generale di Legambiente Stefano Ciafani, sostenitore della legge, propone una petizione al Ministero della Sanità per rivedere le norme igienico sanitarie relative ai sacchetti in modo da autorizzarne eventualmente il riciclo. Una procedura che dovrebbe passare per il Ministero, poi per le Regioni, poi per le Asl etc etc. Lunghetta insomma.

Ma la polemica non si ferma ai comma della legge. Nobile iniziativa quella di salvare il pianeta dall’inquinamento della plastica ma i due,tre, cinque o dieci centesimi a sacchettino nelle tasche di chi andranno?   Si è puntato il dito contro l’esclusività del vantaggio a favore della Novamont, azienda leader italiana nel settore della produzione di sacchetti biodegradabili e partner di Legambiente. Un’esclusività subito smentita dallo stesso direttore Ciafani in quanto le aziende produttrici di bioplastiche sono diverse e saranno tutte coinvolte.

Ma il problema è proprio questo. Eticamente parlando, siamo chiamati a salvare il pianeta o un mercato che forse ha già accusato qualche colpo dalla riduzione delle vendite delle ormai vecchie – e sempre meno acquistate – borse per la spesa biodegradabili?  

E qui urge chiamare in causa la solita Svizzera che va bene che è avanti di 150 anni rispetto all’Italia (e forse all’Europa tutta) ma, insomma, con un po’ di buona volontà ci potevamo arrivare anche noi chè la cosa non è poi così geniale. A partire da novembre dello scorso anno i supermercati svizzeri vendono i sacchetti multi-uso, fatti di una fibra a base di cellulosa,  lavabili in lavatrice e quindi riutilizzabili. La frutta e la verdura si pesano sfuse, senza sacchetto per evitare di mistificare il peso. Le etichette si applicano tutte sullo stesso sacchetto e sono facilmente staccabili per facilitarne l’uso continuato.

 

Elda Cannarsa

 

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