IL FILM “TRE MANIFESTI A EBBING, MISSOURI” E IL LIBRO DI LUCIANA SCATTONI SUL CASO DI SUO FIGLIO MORTO SUICIDA. O FORSE NO

lunedì 22nd, gennaio 2018 / 14:47
IL FILM “TRE MANIFESTI A EBBING, MISSOURI” E IL LIBRO DI LUCIANA SCATTONI SUL CASO DI SUO FIGLIO MORTO SUICIDA. O FORSE NO
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CHIUSI – Sabato scorso sono andato al cinema. E ci sono andato dopo aver assistito alla presentazione del libro “Appunti su Marco” di Luciana Scattoni alla Biblioteca di Chiusi. Un libro in cui una madre cerca di “ragionare” a mente fredda e con raziocinio su una cosa dolorosa. La più dolorosa che le potesse capitare: la morte del figlio. Un giovane maresciallo dei Carabinieri sparito nel nulla per dieci giorni e poi trovato cadavere ai margini di un bosco sull’Appennino modenese 6 anni fa, il 16 marzo del 2012. Al cinema sono andato a vedere “Tre manifesti a Ebbing, Missouri” di Martin McDonagh, con protagonisti Frances McDormand e Woody Harrelson.

A volte uno non ci pensa, ma certe concomitanze ti lasciano di stucco. Sì, perché il film vede come protagonista la madre di una ragazza rapita, stuprata e uccisa che cerca e chiede verità su chi sia stato e dopo 7 mesi di “nulla di fatto” nelle indagini decide di dare una spallata, facendo affiggere tre manifesti 6×3 sulla strada vicino casa, coi quali chiede giustizia e accusa la polizia locale di ritardi e poca convinzione nel cercare il colpevole. Che, come iniziativa non è molto diversa da quella di Luciana Scattoni. Anche la madre di Marco Massinelli, il giovane carabiniere morto nel 2012,  con i suoi “appunti” cerca di fatto una verità più convincente di quella ufficiale e denuncia una certa approssimazione nelle indagini e il solito “muro di gomma” che si è trovata di fronte quando ha provato a porre l’attenzione su una serie di incongruenze e punti oscuri che costellano la vicenda della morte di suo figlio.

Il caso Massinelli è stato archiviato come suicidio, ma ci sono elementi  e punti oscuri o poco chiari come quel viaggio a ritroso da Pegognaga fino a Carpi e poi a Firenzuola nella notte, le “bugie” del ragazzo sulla data del suo rientro a lavoro in caserma, l’oscuramento del computer e del cellulare, e perfino la posizione del corpo e della mano con la pistola (poco compatibile, ad occhio e croce, con il gesto di uno che si spara un colpo un testa), che inducono a pensare che il suicidio sia sì l’ipotesi più probabile, ma non l’unica.

Tra il caso di Marco Massinelli e quello della ragazza stuprata e uccisa del film c’è differenza, naturalmente. Uno è un presunto suicidio con qualche incongruenza che fa pensare ad un possibile omicidio, l’altro è sicuramente un omicidio. Nel film poi la madre della ragazza oltre i manifesti compie anche altri gesti di rabbia… E come si vede spesso nei film americani e come avviene altrettanto spesso in quel Paese in cui un sacco di gente va in giro armata, si scatena anche una spirale di violenza e di sciacallaggio. Essendo Ebbing una cittadina del Missouri, cioè del Sud più profondo degli Usa, non mancano venature di razzismo.

Ma quei “tre manifesti a Ebbing” somigliano molto al libro di Luciana Scattoni. E viceversa. In un caso c’è una madre che chiede giustizia e ad un certo punto pensa pure di farsela da sola, visto che quella ufficiale latita; nell’altro c’è una madre che chiede di sapere come è andata e se davvero il figlio si è suicidato, perché lei al suicidio non ha mai creduto. E negli “appunti” che ha deciso di mettere in fila e raccogliere in un libro spiega pure il perché.

“Cerco e vorrei una verità che mi acquieti”, ha detto Luciana Scattoni alla presentazione del libro. Ma, sebbene con toni meno “americani”  rispetto alla Mildred di “Tre Manifesti a Ebbing, Missouri”, il suo libro non è solo un’opera terapeutica per se stessa, un modo per metabolizzare la tragedia e il lutto, per darsi una ragione, è una denuncia circostanziata, lucida e precisa sulle incongruenze che hanno caratterizzato non solo la sparizione di Marco Massinelli, ma anche le indagini e l’iter giudiziario che ha portato all’archiviazione pressoché immediata del caso.

“Tre Manifesti a Ebbing” è un film. Il caso Massinelli no. Purtroppo è una vicenda vera. E Luciana Scattoni ha fatto una cosa molto coraggiosa. Non so se il suo libro porterà ad una riapertura del caso. Talvolta è successo. Mi piacerebbe che accadesse. Non solo per una questione e di amicizia o vicinanza con una famiglia conosciuta, ma perché quegli “appunti” pongono domande serissime e concrete che chiedono risposte.

Da notare – e la cosa mi fa piacere – che alla presentazione del libro c’era molta gente e la saletta della Biblioteca è risultata insufficiente a contenerla tutta. Prevedibile? Forse sì. Luciana Scattoni è di Chiusi, è conosciuta, ha amici, ex compagni e compagne di scuola, familiari e parenti. E il caso di Marco è di quelli che lasciano sgomenti, increduli. Anche la solidarietà, l’amicizia giocano un ruolo in questi casi. Ma credo che la voglia di approfondire, di capire, di arrivare ad una qualche certezza sia stata e sia superiore alla testimonianza di vicinanza umana.

E c’era molta gente anche domenica pomeriggio nella saletta del Clev Village per la presentazione, nell’ambito di Gec & book, del volume “The big Lebowsky Art collection” dedicato al film cult dei fratelli Cohen del 1998, con contorno di musica live con i Dudes (che al Grande Lebowsky si ispirano) e torneo di boowling a seguire. Sempre in omaggio al film. Roba del tutto diversa dal libro di Luciana Scattoni. Ma è buon segno lo stesso. E’ segno che non è vero che la gente è sempre disattenta, poco sensibile, poco incline ai ragionamenti. Se due presentazioni in due giorni, molto diverse tra loro (una serissima e drammatica e una leggera come una canzone rock) fanno entrambe il pienone vuol dire che anche queste terre, che spesso appaiono in letargo, riescono a raccontare qualcosa, rispondono alle sollecitazioni e sanno pure scegliere cosa vedere o ascoltare. Anche a vedere “Tre manifesti a Ebbing” c’era un buon pubblico.

m.l.

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