I 50 ANNI DEL ’68 (1): PAOLO SOLLIER, IL COMPAGNO CENTRAVANTI

venerdì 12th, gennaio 2018 / 15:46
I 50 ANNI DEL ’68 (1): PAOLO SOLLIER, IL COMPAGNO CENTRAVANTI
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Da 12 giorni siamo nel 2018. Sono passati 50 anni dal fatidico ’68. L’anno della grande contestazione, della rivoluzione sessuale, del maggio francese… l’anno in cui Bob Kennedy fece il famoso discorso sul Pil. E tre mesi dopo lo uccisero… Come Martin Luther King. Il ’68 è l’anno del pugno nero guantato di Tommy Smith e John Carlos alle Olimpiadi di Città del Messico e del pallone d’oro a George Best. Un tipo strano che col pallone tra i piedi faceva quello che voleva. Nel ’68 l’Italia vinse il campionato europeo…

In Italia il ’68 era cominciato un po’ prima, con il volo spezzato della “farfalla granata” Gigi Meroni,  ma esplose l’anno dopo con l’autunno caldo e durò una decina d’anni, fino almeno all’omicidio di Aldo Moro e forse anche un po’ oltre… Il ‘sessantotto’ e ciò che ne seguì fu rivolta generazionale e politica, musica eccelsa, ma anche violenza. Barricate, pistole, molotov nei cortei. Bombe nelle piazze e sui treni. Stragi. Fabbriche, scuole e università occupate, figli contro padri. Poliziotti contro manifestanti. “Una risata vi seppellirà”, era uno degli slogan del ’68. Ma c’era poco da ridere. La lotta era dura. Esaltante,elettrizzante. Ma dura. E negli anni ’70 la droga fece più vittime della violenza. Una generazione spaccata in due tra chi voleva e provava a cambiare il mondo e chi si perse su “strade che non portano mai a niente… ”

Ecco, su queste colonne, vorremmo ricordare il ’68 (e ciò che rappresentò e ne seguì) con una serie di storie. Cominciamo con una storia “leggera”. Che ha radici nella stagione del ’68, ma si sviluppò qualche anno più tardi. E’ la storia di un calciatore. Che però non fu un George Best, un campione assoluto. Era uno dei tanti. Che arrivò sì a giocare in serie A, ma diventò famoso più che per i suoi gol – faceva il centravanti – per un saluto che faceva prima di iniziare ogni partita. Un saluto a pugno chiuso…  Come si faceva nei cortei. 

E’ la storia di Paolo Sollier che domani 13 gennaio, compie 70 anni. Nel ’68 ne aveva venti. Il suo momento di celebrità lo ebbe tra il ’74 e il ’76 quando era il centravanti del Perugia appena approdato nella massima serie. In campo salutava i tifosi col pugno chiuso e non era difficile incontrarlo in Corso Vannucci con il “Quotidiano dei Lavoratori” in tasca. Era il giornale di Avanguardia Operaia. Una scelta di campo che aveva fatto da tempo, da quando lavorava alla Fiat Mirafiori, prima di diventare calciatore a tempo pieno…

Sollier già allora si definiva un privilegiato, ma non tanto per lo stipendio. Lui non era Best e non guadagnava milioni a palate. “Prendevo lo stipendio di un buon impiegato, niente di più, ma mi sentivo privilegiato perché facevo il lavoro dei miei sogni… Giocavo, mi divertivo e mi pagavano pure!”

Dal punto di vista tecnico non era certo un fenomeno. Di gol, pur essendo un centravanti ne segnava pochi. Nel Perugia in tutto ne mise a segno 7. Ma correva molto. Anche a vuoto. “Tatticamente ero un anarchico, correvo, facevo casino”. Il compagno centravanti divenne famoso anche perché nel ’76 scrisse un libro intitolato “Calci, sputi e colpi di testa” che gli costò il deferimento. Parlava di calcio, ma da un punto di vista “alternativo”. Dal suo punto di vista. Che era quello di un militante dell’estrema sinistra… Merce rara sui campi di serie A, dove il conformismo era pane quotidiano e anche companatico. Quanto al pugno chiuso rivolto ai tifosi come saluto “non era per fare propaganda – ha detto – ma per ricordare soprattutto a me stesso chi ero, da dove venivo… era un segno di riconoscimento”. In quegli anni usava così. Anche l’Unità, o Lotta Continua o il Quotidiano dei Lavoratori in tasca era un segno di riconoscimento, come lo era l’eskimo verde o la sciarpa rossa. Calcisticamente, come abbiamo detto, non era un fenomeno, ma a Perugia era molto amato. Ricorda che quando giocava nel Grifo, con Castagner allenatore, guadagnava 8 milioni l’anno e coi suoi soldi sosteneva anche il movimento… “Questione di coerenza”, dice. Nello spogliatoio lo chiamavano Ho Chi Min… Ricorda che dopo Perugia, a Rimini, cercò pure di metter su un “collettivo di calciatori di sinistra” con Pagliari, Montesi, Galasso ma l’associazione calciatori non gradì e finì lì… 

A Natale, ai compagni di squadra regalava libri… In una intervista recente a La Stampa ricorda che a Walter Sabatini, che ora è dirigente dell’Inter e all’epoca giocava con lui nel Perugia regalò “Cent’anni di solitudine” di Garcia Marquez. E a Castagner un libro con una dedica particolare: “non si vive di solo calcio”. Detto da un centravanti ad un allenatore, diciamo che la frase può anche suonare d’effetto…

Oggi, a settant’anni, Paolo Sollier non è cambiato di molto. In casa ha ancora il poster del Che, dice, aggiungendo però che  “il neo liberismo ha sconfitto le idee, la solitudine competitiva ha cambiato il modo di vivere. Io mi nutro ancora di ideali. Alle idee ci pensino i giovani, tocca a loro prendere in mano il mondo. Io ho già dato”.  E quanto al calcio di oggi, è piuttosto scettico: “Non mi piace. Si cresce in batteria, è brutto dirlo ma è così. Non mi piacciono le scuole calcio, come nemmeno quelle di scrittura. Magari ti danno qualcosa in più, ma ti tolgono la fantasia”.

Piccola nota biografica. Per la cronaca, Palo Sollier è nato a Chiomonte, che è il paese quartier generale dei No Tav in Val di Susa. Ci deve essere un’aria strana a Chiomonte…

m.l.

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