CHIUSI, IL FESTIVAL CANCELLATO E IL DECALOGO DI MONTANARI: COSA PUO’ FARE (E NON FARE) UN SINDACO PER LA CULTURA?

mercoledì 31st, maggio 2017 / 18:48
CHIUSI, IL FESTIVAL CANCELLATO E IL DECALOGO DI MONTANARI: COSA PUO’ FARE (E NON FARE) UN SINDACO PER LA CULTURA?
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E I PODEMOS ANNUNCIANO LA RICHIESTA DI DIMISIONI DI BETTOLLINI

CHIUSI – “Quando ti prendi carico dei problemi di una comunità ci sono due modi per affrontarli: cercare i colpevoli o cercare le soluzioni. A noi piace molto di più la seconda, anche se ai tempi dei social, piacerebbe più la prima. Restate connessi, arriviamo”. Il comunicato ufficiale non è  stato ancora emesso. Ma “arriverà”. Queste parole sono del sindaco e presidente della Fondazione Orizzonti Juri Bettollini e ci vuol poco a capire che siano riferite alla questione del festival estivo cancellato.  Bettollini continua a starsene rintanato, non si espone, non replica. Annuncia il verbo, che poi per quanto riguarda il festival sarà solo la conferma dello stop. Per mancanza di risorse. E per non allargare la voragine debitoria della Fondazione.

Le opposizioni anche loro più con commenti sparsi qua e là sui social e postati sotto agli articoli di primapagina tengono ferma la barra sulle responsabilità: “chi ha creato il problema non può esserne la soluzione” dicono sia i 5 Stelle che i Podemos, indicando in Bettollini “uno dei responsabili principali essendo stato prima assessore al bilanci, poi sindaco reggente, sindaco eletto e infine sindaco e presidente della Fondazione”. Luca Scaramelli, capogruppo di Possiamo, in un commento personale su Primapagina annuncia, sia pure en passant e senza clamori, una iniziativa che invece potrebbe essere clamorosa. La richiesta delle dimissioni di Bettollini, “co-artefice del disastro e non salvatore della patria”. Ma sui tempi, nessuna fretta: “Le dimissioni verranno chieste nella forma opportuna, tra l’altro lo statuto del comune di Chiusi non consente di farlo in consiglio comunale…”, scrive Scaramelli. Quindi Possiamo le chiederà, ma se ne parlerà più avanti. Il ferro va battuto quando è caldo, dice il proverbio, e adesso è rovente. Tra qualche settimana chissà… Bettollini punta a presentarsi come colui che ha intimato l’alt, che ha “commissariato ” la Fondazione, che, come un buon padre di famiglia, ha sacrificato la macchina di lusso, per rimettere a posto i conti e porre fine all’emorragia. Sembra che la presidenza della Fondazione l’abbia assunta apposta e probabilmente è proprio così.

Certo una iniziativa del genere, da parte dell’opposizione, magari non otterrebbe l’esito sperato, ma di sicuro costringerebbe sindaco, giunta e Fondazione ad un confronto serrato e senza filtri. In faccia alla gente. La richiesta di dimissioni potrebbe riguardare anche l’assessore Chiara Lanari espressione (sempre secondo i podemos) dell’equivoco che portò già nel 2011 a trasformare l’assessorato alla culrura nell’assessorato a “Chiusi-Promozione”,  mischiando capra e cavoli in un pot pourrì che non ha dato frutti.

E in effetti quella scelta, così come quella di creare la Fondazione si è rivelata, alla luce dei fatti, una scelta errata nell’impostazione e nella gestione.  E la chiusura del festival una debacle epocale (lo abbiamo già scritto), lo specchio di un fallimento politico prima che economico.

Fatto salvo l’impegno delle persone coinvolte è proprio l’approccio al problema che è risultato sovradimensionato, troppo indirizzato al richiamo turistico, più che alla crescita culturale. E così anche eventidi indubbio valore artistico, di forte provocazione sociale e culturale, sono stati vissuti come situazioni calate dall’alto, e molto lontane, se non estranee, all’humus cittadino. Di questo anche da queste colonne abbiamo più volte invitato a discutere. Non c’è stato verso. E adesso, con la prevedibile levata di scudi dei vari artisti coinvolti nel festival, indignati per la chiusura, che è già uno stillicidio di mazzate all’immagine della città, non vorremmo che passasse pure l’idea che a Chiusi la Cultura e la Bellezza, due cose prima sconosciute, erano arrivate una mattina del 2014 con la ‘carovana’ di Andrea Cigni. Certo, dispiace perdere un momento importante, una opportunità, ma un festival estivo c’era anche prima (da più di 10 anni), in passato ce ne sono stati altri di livello internzionale, la città ha sempre avuto una tradizione musicale e teatrale piuttosto robusta (che per fortuna resiste), qualcosa saprà inventarsi per sopravvivere. Insomma, noi siamo tra quelli che hanno sostenuto Orizzonti e le provocazioni di Andrea Cigni e dei suoi amici, ma non vorremmo che pasasse l’idea che con loro e con il festival nuova versione era arrivata la cultura con la C maiuscola e la città, piena di gente con l’anello al naso, non ha saputo apprezzare, decretandone la cancellazione.  Il problema del rapporto Festival- realtà locale c’era, indubbiamente, ma non è stato quello a far scattare lo stop.

Vedremo se, appena Bettollini diffonderà la sua “versione dei fatti” – e sarebbe bene lo facesse alla svelta –  prevarrà lo scontro sulle responsabilità e sugli errori di gestione,  sui conti del bilancio, sull’impostazione culturale, oppure si cercherà di capire come uscirne, buttando sul tavolo ognuno le proprie idee e proposte. Naturalmente sarà bene anche accertare le responsabilità specifiche per la situazione che si è determinata.  Non può sempre finire a tarallucci e vino e senza colpe e colpevoli. Per una questione di correttezza e di rispetto della democrazia.

Quanto al come uscirne, è stato pubblicato oggi un piccolo “Decalogo” su ciò che può fare e non fare un sindaco per la cultura. L’autore è lo storico dell’arte Tomaso Montanari. Ci sembra interessante e assai pertinente rispetto alla situazione specifica di Chiusi. Sembra quasi scritto apposta. Anzi, qua e là, nei vari punti, c’è anche qualche ideuzza che via via nel corso degli anni, ma anche recentemente, è uscita pure da queste colonne.

Eccolo, ci auguriamo che Juri Bettollini un’occhiata gliela dia:

  1. Costruire spazi e momenti liberi dal mercato: perché la cultura è quella cosa (ormai l’unica) che non ci fa clienti, spettatori, consumatori, ma cittadini sovrani. Recuperare spazi pubblici inutilizzati, non alienarli e metterli invece a disposizione delle associazioni di cittadini che sanno costruire cultura.
  2. Tenere aperta almeno una biblioteca fino a mezzanotte, tutte le sere.
  3. Non organizzare nemmeno una mostra: ogni volta che viene voglia di farne una, pensare a quanti monumenti del territorio comunale sono chiusi o in pericolo, e provare a salvarne almeno uno, coinvolgendo i cittadini con una campagna di comunicazione.
  4. Costruire la politica culturale ascoltando chi sa cos’è la cultura: cioè chi la produce. Non pensare in termini di appartenenza, ma di competenza.
  5. Investire in ricerca: anche il più piccolo museo civico, se è abitato da un giovane ricercatore, può diventare un luogo di produzione e redistribuzione della conoscenza.
  6. Invitare un giovane artista ad abitare per qualche mese nel territorio comunale, pagandogli l’ospitalità. E chiedendogli di realizzare un’opera d’arte pubblica per la parte più brutta e disagiata del comune: un’opera la cui esatta destinazione e le cui caratteristiche andranno decise almeno in parte attraverso un cammino di partecipazione.
  7. Promuovere e finanziare la costituzione di orchestre giovanili di musica classica nei quartieri più degradati e con maggiori problemi di inclusione.
  8. Assicurarsi che esista almeno un teatro: se c’è, aprirlo a tutti, con agevolazioni, campagne, programmi di collaborazione con le scuole. Se non c’è, farlo.
  9. Diffidare degli eventi, dei festival, delle inaugurazioni, delleuna tantum: la cultura ha bisogno di strutture stabili, finanziamenti continui, indipendenza dalla politica, visione lunga e disinteressata.
  10. Praticare la cultura in prima persona: un sindaco che trova il tempo di leggere, ascoltare musica, andare a teatro, conoscere un museo sarà un sindaco migliore. Oltre che un essere umano più compiuto: e, forse, più felice.
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