ITALIA: “LA SOVRANITA’ APPARTIENE AL POPOLO”. O AI POPULISTI?

giovedì 13th, aprile 2017 / 13:15
ITALIA: “LA SOVRANITA’ APPARTIENE AL POPOLO”. O AI POPULISTI?
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Si parla molto nelle cronache politiche e nei talk show televisivi, di derive populiste, atteggiamenti populustici, movimenti e partiti populisti, leaders populisti… Ma che significa di preciso?  Il dizionario Treccani al termine populismo recita: 1) “Movimento culturale e politico sviluppatosi in Russia tra l’ultimo quarto dell’800 e l’inizio del ‘900; si proponeva di raggiungere, attraverso l’attività di propaganda e proselitismo svolta dagli intellettuali presso il popolo e con una diretta azione rivoluzionaria (culminata nel 1881 con l’uccisione dello zar Alessandro II), un miglioramento delle condizioni di vita delle classi diseredate, specialmente dei contadini e dei servi della gleba, e la realizzazione di una specie di socialismo rurale basato sulla comunità rurale russa, in antitesi alla società industriale occidentale. 2) Per estensione:atteggiamento ideologico che, sulla base di principî e programmi genericamente ispirati al socialismo, esalta in modo demagogico e velleitario il popolo come depositario di valori totalmente positivi.

Sempre il dizionario Treccani ci dice che più recentemente il termine populismo è stato accostato al movimento creato in Argentina da Juan Domingo Peron (peronismo), che si caratterizzò per il rapporto diretto tra un capo carismatico e le masse popolari, con il consenso dei ceti borghesi e capitalistici che potevano così più agevolmente controllare e far progredire i processi di industrializzazione…

Quindi da una accezione inizialmente socialisteggiante e quindi “di sinistra”, con il peronismo il termine populismo assume anche una connotazione diversa: di destra. Cioè il capo carismatico che solletica la pancia del popolo, per fare però gli interessi della borghesia e del capitale… Cosa non molto diversa da ciò che successe in Italia 30 anni prima con Mussolini e il fascismo

A guardar bene, oggi sembra sia in atto una corsa a chi è più populista. Non solo in America Latina dove i leader carismatici, ma spesso contraddittori, sono una costante. Anche in Europa e in Italia. Nel nostro Paese negli anni della “prima repubblica” cioè dalla promulgazione della Costituzione fino al disfacimento dei partiti storici avvenuto all’inizio degli anni ’90, il populismo è stato una variabile assolutamente minoritaria, praticamente inesistente. E gli stessi leaders carismatici tendevano, tutti, da Togliatti a De Gasperi, da Nenni a Berlinguer, fino a Craxi e Almirante ad esaltare il partito come soggetto collettivo, il senso dello Stato, la comunità…

Craxi ruppe per primo qualche schema consolidato, giocò molto sul carisma e su una presunta “modernità” rispetto alla grisaglia democristiana e all’ortodossia comunista, ma neanche lui può definisrsi un populista.

Ma il populismo è la prima deriva in tempi di crisi e di “vacatio” della politica. Così dopo il terremoto Mani Pulite e la fine della Dc e del Psi, con il Pci che cominciava la mutazione genetica cambiando nome, simboli e bandiere, la prima vera forza populista è la Lega Nord. E il primo leader populista Umberto Bossi.  Utile certamente alla borghesia del nord, soprattutto della fascia prealpina, per scardinare definitivamente sindacati e partiti tradizionali, ma troppo ruspante Bossi perché possa essere lui la figura su cui puntare per il governo nazionale… E allora ecco che nel ’94 spunta il “Cavaliere nero“, il grande imprenditore ghe pensi mi, che prima appoggia l’allora fascista Fini nella corsa al Campidoglio, poi si mette in proprio, e sfruttando la concomitaza dei mondiali di calcio, fonda Forza Italia e vince le elezioni… E’ il trionfo del populismo. L’antipolitica che va al governo. Berlusconi è il prodotto dell’Italia di quegli anni, lo specchio degli italiani. Parla e straparla come loro. E gli italiani si immedesimano in lui sperando di fare, con Berlusconi al governo, gli stessi soldi che ha fatto lui. Naturalmente è un’illusione. Ma dura parecchio. La sinistra gli contrappone di volta in volta figure meno carismatiche: Occhetto, Rutelli, Prodi, alla fine Veltroni… L’unico che vince è Prodi. Gli altri perdono. Sempre.

Ma anche Berlusconi, pur essendo un grande imprenditore, ricchissimo, non è del tutto omogeneo e organico alla razza padrona italiana. E’ un parvenu. Uno che gioca in proprio. E che non si fa problemi a flirtare con Putin o con Gheddafi, cosa che non piace per niente all’establishment europeo… Nel frattempo invecchia, cade in una serie infinita di gaffe tali da mettere a rischio la sicurezza nazionale, si circonda di “nani e ballerine” che lo spolpano e lo rendono ricattabile. Anche il Milan non vince più come un tempo…

La destra che aveva sdoganato e riportato in auge si sfalda, quanto e più della sinistra che sembra un paese terremotato.

Ma quel suo modo di parlare alla pancia degli italiani è un patrimonio che non va gettato al vento: ci pensano Salvini, nuovo leader della Lega, più ruspante di Bossi (nel senso che vorrebbe spianare tutto, soprattutto campi rom e campi profughi con le ruspe) e l’ex fascista Giorgia Meloni che spera e prova a proporsi come la Le Pen italiana…  Ma entrambi (Salvini e Meloni) non sono Berlusconi. Non ne hanno la forza, i soldi, il carisma. Ma il gioco al ribasso in politica lo sanno fare. Spostano il tiro, Salvini soprattutto, verso le pulsioni più materiali, più egoiste e pure razziste degli italiani. In questo senso sono populisti. Come la Le Pen.

Ma da qualche anno c’è, in Italia, qualcuno più populista di loro. Qualcuno che parla più o meno la stessa lingua, fa del carisma personale l’arma principale, solletica sempre lo stomaco più del cervello della gente, si pone come alternativa alla politica paludata e inconcludente, alle caste, e alle ideologie, che dichiara superate…

Si tratta di Beppe Grillo e Matteo Renzi. Due facce della stessa medaglia.

In precedenza il centro sinistra ha provato a contrapporre a Berlusconi figure tradizionali e ha perso. Con Renzi ha avuto l’ilusione di poter finalmente tornare a vincere. E pazienza se le idee della sinistra scompaiono dall’agenda. Renzi, come suo tempo Bossi, poi Berlusconi, è lo specchio del tempo. La figura che serve ad un certo potere per continuare a fare i propri affari. Senza troppi intralci, come potrebbero essere i sindacati. Renzi, la cui stagione, visto l’esito del referendum del 4 dicembre, potrebbe essere già finita, senza esser mai passato dal vaglio elettorale, è la ricetta populista del centro sinistra (sempre più centro e sempre meno sinistra) per rispondere al populismo di Salvini, della Meloni, di un improbabile, ma redivivo Berlusconi. E soprattutto la risposta populista del Pd al populismo di Grillo e dei 5 Stelle. Che anche negli slogan, come la Lega dei primordi, battono  in particolare sulla loro “diversità” dalla casta, sul tasto dei soldi, e sulla fine delle ideologie e delle appartenenze… Perché in un mondo e in una politica senza bandiere riconoscibili, è più facile che vinca chi urla più forte, chi riesce a parlare più degli altri il linguaggio trito della “ggente” comune, sempre più incattivita, chiusa in se stessa, impaurita…

E così il populista centrista ed ex democristiano Renzi  che ha fatto di tutto per far andar via dal Pd quelli che gli contendevano la leadeship, si barrica dentro e disegna un Pd  a sua immagine e somiglianza, fatto di soli fedelissimi. E a modo loro, molti dei fedelissimi di Renzi sono anch’essi populisti. Magari a loro insaputa.  Blandire le associazioni, cercare l’applauso con inaugurazioni a raffica di marciapiaedi, casine dell’acqua e panchine; assecondare sempre e comunque le spinte di specifici settori economici, di società sportive o volontaristiche, dare un’immagine di sè come il sindaco che fa le cose e non fa politica (nel senso antico) è populismo. Ci riflettano Bettollini e i suoi fratelli con la fascia tricolore sparsi in queste terre…

Non è reato, il populismo (e Dario Fo diceva che populismo vuol dire che qualcuno, prima, ha sbagliato). Ma è una politica che ha dato spesso frutti avvelenati.

Del resto, il contraltare di Renzi e del Pd è anch’egli un populista: Beppe Grillo ha trasformato in movimento politico di massa una Srl commerciale, dove gli eletti devono firmare contratti come i co.co.co, dove si diventa dirigenti per diritto societario e successione ereditaria… Dove chi non è d’accordo o non piace al titolare della Srl, viene sbattuto fuori o non candidato anche se ha vinto le “primarie” interne… Ma sono i toni, le invettive, il lessico di Grillo e dei grillini, la loro idiosincrasia per i sindacati, a evocare più Peron o la Le Pen che non Moro o Berlinguer. E nemmeno Capanna..

Insomma il film politico italiano del momento vede 4-5 populisti nel ruolo dei 4-5 maggiori protagonisti. Un po’ come in Francia dove si salva solo Hamon, l’unico che prova a fare il Bernie Sanders…Gli altri sembrano tutti della stessa pasta.

“L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”. Così recita l’articolo 1 della Costituzione.

La sovranità appartiene al popolo. O ai populisti?

m.l.

 

 

 

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