KEN LOACH E IL CINEMA CHE TORNA A PARLARE DEGLI OPERAI E DEI DISOCCUPATI

martedì 02nd, febbraio 2016 / 17:13
KEN LOACH E IL CINEMA CHE TORNA A PARLARE DEGLI OPERAI E DEI DISOCCUPATI
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Da anni, decenni ormai, certa stampa, certa cultura, certi partiti e certi presunti pensatori ci dicono che destra e sinistra sono categorie politiche del passato, che le classi sociali sono un retaggio superato, e soprattutto che la classe operaia, la working class, come la chiamano gli anglosassoni, è anch’essa un residuo della società del ‘900, un “settore marginale”, una specie in via di estinzione… e che adesso il mondo è diverso. Che non si basa più sulla produzione e il lavoro, ma sulla finanza. Sull’economia di carta. Sulla tecnologia e la comunicazione. Poi però si scopre che i poveri aumentano e i poveri non sono solo i disperati, i senza tetto, i migranti che arrivano con i barconi, ma anche gente che fino a non molto tempo fa se la passava decentemente e adesso invece fa fatica ad arrivare a fine mese, a pagare le rate del mutuo. Ma anche a pagarsi le medicine e le visite mediche, non solo l’auto nuova…

E se per anni e decenni ci hanno raccontato la storia della fine degli operai, la fine delle classi, delle ideologie, della destra e della sinistra, c’è anche qualcuno che invece ostinatamente, da anni, decenni ci racconta il contrario. E lo fa con la poesia di film che sembrano documentari, ma hanno la forza espressiva delle opere d’arte e una tensione morale – e politica – rara. O con le canzoni. Penso a certe canzoni di Bruce Springsteen, per esempio. E soprattutto ai film di Ken Loach. Il primo americano, l’altro inglese.

Entrambi, mentre montava l’edonismo reaganiano negli Usa e il Tatcherismo in Inghilterra ci hanno raccontato storie minime di operai con le mani sporche di grasso, che faticano nelle officine, a cambiare le traversine delle ferrovie e non vedono l’ora di potersi tracannare una birra al pub o di farsi un giro sulla highway con la macchina, per rompere la monotonia, per cercare emozioni… o magari una ragazza.

Ken Loach dopo aver raccontato con Paul, Mik e gli altri il disastro delle privatizzazioni delle ferrovie, adesso mette a nudo, con un nuovo film  l’Inghilterra dei giorni nostri, stretta nella morsa  dei tagli allo stato sociale ai danni di una ex working class dal futuro sempre più oscuro. Il film si intitola I, Daniel Blake , ed è  il crudo ritratto dell’Inghilterra delle food banks e  delle file dei disoccupati ai job center, in cerca di un lavoro che non esiste. Delle madri single, punite dai tagli ai benefits, che vagano da un ostello all’altro. Il film, in uscita a primavera nel  Regno Unito, sarà presentato al prossimo Festival di Cannes.  “La fame, oggi nel Regno Unito, è usata come un’arma, da un sistema burocratico punitivo e consapevolmente crudele”, ha dichiarato Ken Loach in un ‘intervista al Guardian.

Ed è la fame che grava come uno spettro sulla vicenda di Daniel, il protagonista del film. Daniel è un falegname ultracinquantenne che ha lavorato per tutta la vita, e che in seguito a un malattia è costretto a ricorrere al sussidio di disoccupazione. La sua storia si intreccia con quella di Kate una madre single, sfrattata con due bambini. La loro odissea si svolge in uno scenario da incubo che li vede vittime di una burocrazia  che  usa qualsiasi mezzo  per privarli dei loro diritti. Ken Loach ripercorre le strade del più classico neorealismo, girando in presa diretta davanti a un “vero” Job Center, dopo aver reclutato comparse e attori anche tra  disoccupati ed ex impiegati del centro stesso.

Ancora un film-verità. Nient’altro che la verità in questo film, che seguendo lo stile di Ken Loach, suona come  ultimo atto d’accusa contro il governo Cameron. Ma che  suona anche come un invito ai laburisti, a fare di più contro quella che lui stesso definisce “una vera e propria ferita aperta nel corpo della società”. ken loach 2

”Dai Jeremy, facciamoci sentire- è l’appello del regista a Jeremy Corbyn,  leader del partito laburista –  Qual ‘è lo scopo del movimento operaio  se non dare voce alle persone che vivono in queste condizioni?” E il film fotografa con spietato realismo anche i retroscena della situazione: l’imbecillità della burocrazia, i provvedimenti disciplinari nei confronti degli impiegati dei Job center meno “inflessibili” con gli scrocconi e i ritardatari, le guerre tra poveri, insomma, in quello che è, come ai tempi di Lady Tatcher, un gigantesco gioco al massacro.

Ecco, Loach fotografa l’Inghilterra. Ma in Italia è poi tanto diverso? Il jobs act per esempio, sta creando posti di lavoro o guerre tra poveri? Purtroppo in Italia non abbiamo Jeremy Corbyn. E in questo momento nemmeno un Ken Loach.

M.L.

 

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