ARPAD WEISZ: SCUDETTO E SHOAH. QUANDO LA MEMORIA E’ TARDIVA…

giovedì 28th, gennaio 2016 / 17:02
ARPAD WEISZ: SCUDETTO E SHOAH. QUANDO LA MEMORIA E’ TARDIVA…
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Il calcio racconta spesso storie incredibili. A volte tristissime. Storie che si intrecciano con la Storia, e con le sue pagine più nere. In concomitanza con “il giorno della memoria” (27 gennaio) e in vista del 31 gennaio, me ne torna in mente una di queste storie. Che ha a che fare con il calcio. Ma anche con la shoah. E con la meschinità dell’italietta fascista che si piegò alle logiche del più forte e alleato germanico.

E’ la storia di Arpad Weisz. Discreto giocatore, nazionale del suo paese, poi grande allenatore anche in Italia, Weisz fu vittima delle leggi razziali del ’38 e morì in una camera a gas del campo di sterminio di Auschwitz il 31 gennaio del ’44. Due anni prima erano stati uccisi nello stesso modo a Birkenau la moglie e i figli.

Nel 1944 Weisz aveva 48 anni. Era ebreo. Figlio di ebrei ungheresi giocò in Ungheria, ma anche in Italia, in Cecoslovacchia e in Uruguay. Ma non era un fenomeno. Però aveva la stoffa del leader, dell’allenatore in campo. E appena appese le scarpette al chiodo, come allenatore si fece valere. Dopo una fase di “apprendistato” in Sudamerica e all’Alessandria nella stagione 1929-30, la prima a girone unico, vinse lo scudetto con l’Inter che allora si chiamava Ambrosiana Inter, perché al Fascismo, la denominazione “Internazionale” piaceva poco. Fu il più giovane allenatore a vincere il campionato in Italia. Aveva 34 anni. E fu lui a scoprire e lanciare Giuseppe Meazza. Negli anni successivi allenò il Novara in serie B e il Bari, poi passò al Bologna e con i rossoblu vinse due scudetti di fila nelle stagioni 1935-36 e 1936-37. Era, il Bologna di Weisz, “lo squadrone che tremare il mondo fa…”. Nel ’37, sempre con il Bologna, vince anche il Torneo dell’Esposizione Universale a Parigi, battendo in finale il Chelsea per 4-1. Siamo nel periodo tra i due mondiali vinti dall’Italia nel ’34 e nel ’38. IN quel Bologna giocavano Ceresoli; Fiorini, Gasperi; Montesanto, Andreolo, Corsi; Busoni, Sansone, Schiavio, Fedullo, Reguzzoni. Sì, anche Angelo Schiavio, autore del gol al 95′ nella finale di Roma al mondiale del ’34 contro la Cecoslovacchia. SCUDETTO BOLOGNA

Il Bologna, per la verità vinse altri due scudetti anche nel 1938-1939, e solo all’ultima giornata perse quello della stagione 1939-40, vinto dall’Ambrosiana Inter. Ma nel 1940-41, le sorti si capovolsero e questa volta fu il Bologna a imporsi sui rivali milanesi. Arpad Weisz però non c’era più.

In seguito alla promulgazione delle leggi razziali, istituite nel 1938 dal regime fascista, Weisz dovette lasciare prima il lavoro e poi l’Italia. La stessa società che aveva portato allo scudetto per due volte di seguito, rompendo il monopolio della Juventus, lo abbandonò al suo destino. Non lo difese. Non lo protesse.

Passando per Bardonecchia si rifugiò a Parigi con la moglie Elena, nota anche come Ilona Rechnitzer, anche lei ebrea-ungherese, e con i figli Roberto e Clara. 

Pochi mesi dopo, la famiglia Weisz si trasferì nel piccolo paese di Dordrecht, in Olanda, dove Árpád allenò la squadra locale, il DFC con eccellenti risultati: il primo anno colse un’insperata salvezza, mentre il secondo guidò la squadra al quinto posto togliendosi la soddisfazione di battere squadre ben più blasonate come Ajax, Feyenoord e PSV Heindoven. 

Ma la guerra impazzava in tutta Europa. Neanche l’Olanda era più un posto sicuro. E i Weisz, come milioni di ebrei (e non solo ebrei) ne fecero le spese.

In seguito all’occupazione tedesca dei Paesi Bassi, nella primavera del ’40, Arpad Weisz  e i suoi familiari furono rinchiusi nel campo di transito di Westerbork. Qui qualche tempo dopo, la famiglia venne divisa: nell’ottobre del 1942 la moglie e i figli vennero deportati a Birkenau, dove appena giunti e selezionati, furono uccisi nelle camere a gas. “Passati per un camino ora sono nel vento…”

Árpád venne invece assegnato a un campo di lavoro dell’Alta Slesia. Rimase in vita per altri quindici mesi sino a trovare la morte ad Auschwitz in una camera a gas la mattina del 31 gennaio 1944. Anche lui “passato per un camino… vola nel vento”.

Una storia come tante, si dirà. Ad Auschwitz e negli altri campi di sterminio morirono artisti, musicisti, poeti, scrittori, attori e anche campioni o personaggi dello sport. Arpad Weisz fu uno di questi. La ferocia nazista non faceva sconti.

Ma la cosa singolare è che l’Italia che lo osannò quando vinse lo scudetto con l’Inter e poi i due con il Bologna, se ne è dimenticata completamente per più di 60 anni. Di Arpad Weisz nessuno sembrava ricordarsi più, nemmeno quando il Bologna e l’Inter si affrontarono, esattamente venti anni dopo, in uno  spareggio scudetto: metà anni ’60, l’epoca della grande Inter di Herrera e di un ottimo Bologna allenato da Fulvio Bernardini, con Haller, Fogli, Bulgarelli, Nielsen…

Niente di niente. Di Arpad Weisz nessuna traccia. Nessun ricordo

Solo nel 2007 la sua figura è stata ricordata in un libro, dal giornalista Matteo Marani, e solo nel 2009 il Comune di Bologna ha apposto una targa con il suo nome nello stadio Dall’Ara. Da allora la memoria è tornata anche a Milano e nel 2012 un’altra targa è stata “scoperta” allo stadio Meazza, in ricordo di Weisz e del terzo scudetto nerazzurro (quello del ’29-30 vinto appunto con Weisz in panchina).

Strano l’oblio in cui un personaggio del genere era caduto. Ma l’Italia è così. Si dimentica in fretta dei suoi eroi. Soprattutto quando sono figure scomode. O ingombranti. Figure che evocano momenti bui, pagine sporche della nostra storia. Perché sulla fine di Arpad Weisz e dei suoi familiari, l’Italia non è senza peccato. Lo sport italiano nemmeno.

Gianluca Lorenzoni

 

 

 

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