DA 20 A 12: COSI’ IL PD VUOLE ROTTAMARE LE REGIONI. E SI PARLA ANCHE DI FUSIONE TRA COMUNI: CHIUSI CON CITTA’ DELLA PIEVE, CETONA E SAN CASCIANO

lunedì 19th, ottobre 2015 / 16:56
DA 20 A 12: COSI’ IL PD VUOLE ROTTAMARE LE REGIONI. E SI PARLA ANCHE DI FUSIONE TRA COMUNI: CHIUSI CON CITTA’ DELLA PIEVE, CETONA E SAN CASCIANO
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Era il mese di dicembre 2014. Primapagina, in versione cartacea, propose un servizio su una proposta di riforma delle regioni italiane avanzata da due parlamentari Pd: Morassut e Ranucci. Titolo: “Parte la rottamazione delle Regioni”. Quella proposta è stata presentata come disegno di legge, da discutere entro il 2018. L’8 ottobre scorso il Governo ha accettato in Senato l’Odg Ranucci e quindi l’avvio della discussione sull’ipotesi di riduzione delle regioni da 20 a 12.

Ecco cosa scrivevamo 10 mesi fa:

“Le elezioni regionali della primavera 2015 potrebbero essere le ultime per la piccola Umbria. L’unica regione ‘peninsulare’ non bagnata dal mare e unica a non essere situata ai confini politici o marittimi… Sono decenni che si parla di possibili accorpamenti dell’Umbria, ora alla Toscana, ora alle Marche, ora al Lazio… Recentemente la proposta di unire Umbria e Marche è stata avanzata dal sindaco di Pesaro Matteo Ricci. E come si legge su primapagina del 4 novembre, subito si è levato un coro di no o di distinguo, del tipo “allora noi con la Toscana”, commento piuttosto gettonato nell’area del Trasimeno e a Città della Pieve.
Ma quella di Ricci non è la sola proposta su tappeto. E proprio il Pd, partito del premier Renzi, sta pensando ad una riforma delle Regioni per risparmiare sui costi della politica, ma anche per ottimizzarne – dicono – l’operatività.
Troppo piccola l’Umbria per reggere il passo: solo 800 mila abitanti, praticamente come un quartiere di Roma o come la provincia di Varese… Meno di Milano, di Genova, di Napoli e di Torino, di Palermo e Catania… Ed ecco quindi che rispunta l’ipotesi accorpamento. Non più come semplice proposta, ma come una vera e propria proposta di disegno di legge costituzionale, presentata il 16 dicembre da due deputati Pd: Mosassut e Ranucci. Un atto ufficiale, dunque, che impegnerà Parlamento e Governo L’obiettivo è approvare il Ddl entro il 2018 per poi procedere gradualmente…
La proposta Morassut-Ranucci non riguarda solo l’Umbria, ma tutte le piccole regioni. Di fatto le elimina tutte. L’Umbria finirebbe non con le Marche, ma quasi interamente con la Toscana insieme alla provincia di Viterbo. Insomma, se passerà la proposta, il cuore verde d’Italia avrà lo sbocco al mare. Il Tirreno, però, non l’Adriatico come avrebbe voluto il sindaco di Pesaro. Secondo l’idea dei deputati Pd Morassut e Ranucci la nuova macroregione dovrenbbe chioamarsi “Regione Appen-ninica”. Il capoluogo sarebbe Firenze.
La Toscana acquisterebbe una parte rilevante di territorio, un grande lago e città storicamente e turisticamente molto importanti come Perugia, Assisi, Gubbio, Città di Castello, Spoleto, Orvieto, Viterbo. Una sorta di ricomposizione dell’antica Etruria…
L’Umbria e Perugia perderebbero però autonomia e peso politico. E questo è uno degli argomenti che fa storcere il naso, soprattutto nei palazzi del potere.
Non solo l’Umbria, ma anche il Lazio, le Marche, la Lucania e il Molise verrebbero smembrate e divise.
L’approvazione della proposta Morassut-Ranucci cambierebbe interamente la carta geografica dell’Italia, che sarebbe così: la Regione Alpina comprenderebbe la Valle d’Aosta, il Piemonte e la Liguria. Le altre regioni sarebbero la Lombardia, l’Emilia Romagna (comprendente anche la provincia di Pesaro), il Triveneto (Veneto, Friuli Venezia Giulia e Trentino), la Regione Appenninica (Toscana, Umbria e provincia di Viterbo), l’Adriatica (Abruzzo, provincia Macerata, Ancona, Rieti, Ascoli e Isernia), la Regione di Roma Capitale, la Tirrenica (Campania e le province di Latina e Frosinone), il Levante (Puglia e le province di Matera e Campobasso), il Ponente (Calabria e provincia di Potenza), la Sicilia e la Sardegna.
“Le Regioni – dicono Morassut e Ranucci – sono nate negli anni ’70 per cercare di dare rappresentanza alle diverse identità italiane.
Ma se in una prima fase hanno fatto bene e hanno aiutato la crescita del Paese, in un secondo momento sono diventate protagoniste di fenomeni non positivi della vita pubblica. 15 sono finite sotto inchiesta, 494 sono stati i consiglieri coinvolti, quasi 60 milioni di euro – tutti soldi pubblici – la cifra sulla quale i magistrati stanno ancora indagando. È per questo che ora bisogna cambiare”.

Mentre si parla di riforma e riduzione delle regioni, si fa strada anche la direttiva politica che vorrebbe imporre per legge la fusione tra i comuni. Non solo quelli più piccoli, sotto ai 5.000 abitanti. C’è per esempio una proposta stilata dall’Irpet, Istituto di ricerca della Regione Toscana che prevede accorpamenti copiosi ed è caldeggiata dal Governatore Rossi, ma anche dalla componente renziana del Pd. Uno degli accorpamenti sarebbe abbastanza “clamoroso” perché vedrebbe fondersi nel Comune di Chiusi (che manterrebbe il nome) anche Cetona, San Casciano Bagni e… Città della Pieve, che attualmente è in Umbria e non in Toscana.

Già sui social network si è scatenata la contraerea con le rimostranze, anche giustificate, di chi non si oppone all’accorpamento dei servizi e delle funzioni, ma vorrebbe comunque mantenere il “presidio democratico” e storico rappresentato dal Comune, così come avviene in Francia, dove i Comuni sono 36 mila, 4 volte e mezzo quelli italiani, ma i servizi sono gestiti a livello sovracomunale…

Un anno fa, con una uscita estemporanea ala festa de l’Unità, l’allora sindaco di Chiusi Scaramelli lanciò l’idea di una “fusione” tra Chiusi e Chianciano. Ora questa ipotesi proposta dall’Irpet, con l’accorpamento di Città della Pieve oltre a Cetona e San casciano. Dal punto di vista “oggettivo” quest’ultima ipotesi sembra più robusta. Chiusi, Cetona e Città della Pieve sono di fatto già molto “compenetrate”, a livello scolastico, economico, culturale… Resta da vedere se una cittadina orgogliosa e in crescita come Città della Pieve accetterebbe di buon grado, non tanto di unire le forze e fondersi con Chiusi, quanto se mai di perdere la titolarità del municipio…

Ovviamente ogni ipotesi di fusione, anche se c’è chi pensa di renderle obbligatorie, dovrà passare al vaglio della volontà popolare, attraverso apposito referendum. E finora si è visto che le fusioni nei referendum non sempre hanno vinto. A Fabro,Ficulle, Parrano, Montelone d’Orvieto e Montegabbione, per esempio la fusione non passò… Il sì vinse in 2 comuni su 5…   Non solo perché l’identità dei singoli paesi e i campanili sono baluardi difficili da abbattere, ma anche perché tra la gente c’è pure la convinzione, piuttosto diffusa, che anche questo sia un modo per ridurre sempre di più gli spazi democratici e di partecipazione, per ridurre, con la scusa del risparmio e della semplificazione, il numero degli amministratori locali, per accentrare il potere decisionale nelle mani di pochi politici che vogliono avere meno vincoli, meno strutture a cui rendere conto…

Comunque il tema è caldo. Chissà se a Chiusi, dove si voterà in primavera, sarà anche tema di campagna elettorale…

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