GRANDE SERATA A CITTA’ DELLA PIEVE CON I “4 AMICI AL BAR”. TEATRO GREMITO E OTTIMA PROVA DI ATTORI E MUSICISTI

domenica 13th, settembre 2015 / 19:13
GRANDE SERATA A CITTA’ DELLA PIEVE CON I “4 AMICI AL BAR”. TEATRO GREMITO E OTTIMA PROVA DI ATTORI E MUSICISTI
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Non avrei riconosciuto Marco Lorenzoni se con il suo “4 amici al bar” se la fosse cavata, come indica il sottotitolo dello spettacolo, con un semplice tributo all’opera di quattro grandi cantautori italiani: Sergio Endrigo, Luigi Tenco, Enzo Jannacci e Giorgio Gaber.

E, visto che siamo al cospetto di un gruppo di “geniali” (cito ancora il sottotitolo) artisti, non ci sarebbe stato nulla di male a proporre una carrellata, magari critica, della sterminata e strepitosa produzione dei quattro di cui sopra per ammannire una serata piacevole e anche stimolante, alla maniera di un certo teatro con musica che non smette mai di essere in voga.

Ma Marco si è invece voluto far riconoscere, la classe non è acqua, e, voltando per una volta le spalle al rock, è andato a scavare tra cover e canzoni appena meno popolari dei quattro, trovando non solo un filo conduttore plausibile ma costruendo su quello un solido e convincente ragionamento.

Conosco Marco – più attraverso i suoi scritti che non personalmente –, uno dei suoi pallini è il crollo delle speranze su cui una generazione – quella composta dagli over 50 di oggi – era maturata, aveva idealizzato e in parte anche costruito una società migliore di quella che usciva dalle macerie del fascismo, della guerra, dell’egemonia di una classe dirigente ingessata e formale.

Uno slancio che per molti – come per Marco – è stato anche (se non soprattutto) ideologico ma che ha conosciuto per tutti un capolinea brusco ed inatteso al momento in cui ha trionfato il cinismo arraffone oggi dominante e che si può sommariamente identificare con i “mariuoli” e col berlusconismo.

La tesi di Lorenzoni è che Endrigo, Tenco, Jannacci e Gaber erano stati profetici, usando le canzonette, andando perfino a Sanremo (godibili le chicche dedicate al festivàl per antonomasia), non avevano solo messo a nudo le miserie di allora ma avevano indicato la brutta china che aveva preso l’Italia, tratteggiando addirittura alcuni baratri sul cui orlo si stava trastullando il Belpaese.

Non canzone di denuncia di grandi fenomeni, eh, ma lavoro di cesello sui tic, sui pericolosi luoghi comuni, sui difetti apparentemente piccoli che, ripetuti all’infinito e moltiplicati per una popolazione allora in crescita sarebbero diventate autentiche piaghe sociali. Anche il sentimentalismo, molto meno canzonettaro di quanto potesse apparire, del più integrato dei quattro, Endrigo, lanciava lampi di dissacrazione.

E il testo che Marco ha affidato ai fedelissimi “cavalli di razza” Gianni Poliziani e Francesco Storelli è proprio in linea con il messaggio dei quattro: dai versi delle canzoni scaturiscono aneddoti ma anche riflessioni, approfondimenti che guidano il viaggio attraverso il cambiamento del nostro paese.

Ne viene fuori un prodotto equilibrato, godibilissimo al quale ognuno riesce a dare il proprio miglior contributo, segno evidente che per ciascuno è stato scelto il posto giusto. A voler essere pignoli, può apparire un po’ troppo lunga la “tirata” sulla disillusione dei comunisti (si, proprio quello del PCI), mai trascinata però sui toni patetici del rimpianto ed impreziosita anzi da una certa gustosa autoironia di fondo.

Perfetto anche lo scenario, il curioso ed accogliente teatro rettangolare di Città della Pieve, che grazie al suo palco largo è riuscito ad accogliere comodamente il gruppo musicale e con la sua platea corta ha tenuto il pubblico “vicino”, proprio come si addice ad un confronto tra amici.
Al di là del confortante tutto esaurito, una notazione di volata sul pubblico (del tutto oggettiva, vista la mia estraneità a quell’ambiente): gli spettatori sembravano scelti con cura da un autore attento ed affettuoso, perché all’età matura, giustificata dal riferimento agli anni ’60 e ’70, si è abbinato uno stile perfetto, da intellighenzia illuminata di provincia, rintracciabile nel comportamento e perfino nell’abbigliamento.

Come detto Poliziani e Storelli padroneggiano alla grande il palco, una volta di più appaiono perfettamente calati nel ruolo, spingono sui registri che gli sono più funzionali senza mai scadere nella macchietta, citano e si citano, ammiccano ma tengono sempre saldamente in mano il filo della narrazione.

Una rivelazione la parte musicale, con cinque giovani esecutori (Luca Camerota, Marco Pasquariello, Gianluca Lorenzoni – che NON è un omonimo, chapeau -, Pier Luca Cupelli e Marco Canestrelli) sempre concentratissimi, rispettosi dei pezzi di storia della musica italiana che hanno sugli spartiti ma anche sicuri negli arrangiamenti, e sempre pronti a rientrare in scena nell’alternanza testi – armonie, ed una cantante, Ornella Tiberi, capace di fare al tempo stesso la prima donna e di lasciare poi con discrezione il giusto spazio al testo.

Diego Mancuso*

*giornalista, addetto stampa del Comune di Montepulciano, collaboratore di Tele Idea e altre testate.

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