C’E’ VITA A CHIUSI, MA E’ VITA ALIENA. IL FESTIVAL ORIZZONTI E L’INDIFFERENZA DEI CHIUSINI

giovedì 06th, agosto 2015 / 18:49
C’E’ VITA A CHIUSI, MA E’ VITA ALIENA. IL FESTIVAL ORIZZONTI E L’INDIFFERENZA DEI CHIUSINI
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CHIUSI – Il teatro sperimentale, più o meno astruso, può anche non piacere; la musica lirica, se non è all’Arena di Verona, può risultare noiosa e poco accattivante per un pubblico “televisivo”; quella contemporanea può risultare “ostica” e dissonante all’orecchio del profano; la danza moderna può anch’essa apparire fuori contesto…  E poi gli orari, alle 18, alle 20, possono non invogliare a rinchiudersi in un teatro o ad assistere ad uno spettacolo sulla riva del lago, allo scoppio del sole… Certo. Ma un festival che propone teatro, danza, opere liriche, concerti, mostre e performances varie un po’ particolari, alcune molto coraggiose e ardite, per il tema trattato, il linguaggio esplicito, per il fatto di recitare su un crinale scivoloso, in un luogo poco abituato a certe cose, non è un evento usuale. Un evento qualsiasi. Soprattutto se il paese in cui il festival si tiene è, appunto, poco abituato a certe intrusioni. E ancor di più se il festival propone artisti di caratura nazionale e internazionale, veri e propri mostri sacri nel loro genere, come Pippo Delbono, Tiziana Fabbricini, Paolo Fresu e Roberto Cipelli, o figure importanti dell’avanguardia culturale e teatrale italiana come Valter Malosti, Roberto Latini, Andrea Adriatico, per citarne solo alcuni.

Certo si possono criticare gli orari e le location, i pochi posti in platea, e, diciamolo, anche le opere stesse e l’approccio dei vari artisti, se risultano “poco digeribili”. Ma resta il fatto che si tratta di un evento di qualità assoluta che se non altro per curiosità, per vedere l’effetto che fa, per ritrovarsi faccia  a faccia, magari al bar, con personaggi del genere, dovrebbe essere vissuto dalla città come il suo momento di gloria.

Parliamo del Festival Orizzonti e della città di Chiusi. Che invece appare molto distratta. Praticamente indifferente. Quasi totalmente assente dal suo momento di celebrità. I chiusini, quelli del centro storico e soprattutto quelli dello Scalo e delle frazioni se ne tengono alla larga. Qualcuno si affaccia a qualche spettacolo, ma si tratta di una minoranza sparuta, quasi impercettibile rispetto al totale della popolazione. E anche chi, durante l’anno, spesso critica e s’incazza per l’assenza di iniziative, di eventi, di occasioni, al Festival non partecipa. Al massimo osserva a distanza.

Certo, il prezzo dei biglietti d’ingresso (dai 12 ai 25 euro per i residenti) può in qualche misura scoraggiare, ma l’indifferenza, se non la diffidenza verso il festival non può essere solo una questione di prezzo. Nel centro storico, dove si tengono gli spettacoli, il direttore artistico Andrea Cigni è ormai uno di casa, anzi di famiglia. Tutti lo salutano e gli vogliono bene. Ma al botteghino sono più i “foresti” che i chiusini. Eppure Andrea Cigni è una macchina da guerra, un carrarmato che sa dove vuole arrivare. Ha vinto la sua battaglia per far riconoscere il festival Orizzonti come uno dei migliori d’Italia da parte del Ministero, ha saputo portare a Chiusi personaggi di primissimo piano della scena musicale e teatrale italiana, ma nonostante tutti gli vogliano bene, non è ancora riuscito a vincere l’indifferenza atavica e sempre più cupa dei chiusini (e pure dei cittadini dei paesi limitrofi, che se ne vedono pochi, anche di loro).

Perché questa città non riesce più a entrare in sintonia con niente e con nessuno, nemmeno con ciò che di buono le cade addosso? La domanda dovrebbe porsela Andrea Cigni, naturalmente, ma più di lui dovrebbero porsela la Fondazione Orizzonti e il Comune. E naturalmente i cittadini.

Partecipare, andare a vedere “de visu”, vivere per qualche ora l’atmosfera del festival consentirebbe di giudicare a ragion veduta, di farsi un’idea più precisa, anche, magari, per puntualizzare meglio le eventuali critiche all’organizzazione, alle performances proposte, agli artisti. E potrebbe anche consentire una valutazione più oggettiva rispetto alla classica domanda se il gioco vale la candela. Ovvero se il risultato, alla fine, è accettabile e positivo rispetto all’investimento fatto.

Nei primi 6 giorni di festival la città di Chiusi ha vissuto Orizzonti come una piccola invasione di alieni un po’ eccentrici e fuori dai canoni, che comunque ha riempito ristoranti, alberghi, b&b, agriturismi e bar… Ma la contaminazione non si avverte. Il popolo del festival e i chiusini sono due mondi paralleli. Un po’ distanti.  Il “clima” da festival stenta a decollare, a contagiare tutti.

Ci sono ancora 4 giorni. Forse il “clima” crescerà. Già stasera lo spettacolo di danza “Ariadneamore” di Emanuele Soavi in piazza Duomo, alle 21,30 potrebbe scaldare l’atmosfera, già resa piuttosto “hot” dai due spettacoli “L’omosessuale o la difficoltà di esprimersi” e “Therese et Isabelle” andati in scena anche ieri e in replica oggi alle 18,00 e alle 20. Ecco, neanche due spettacoli audaci e veramente al di là dell’antico “comune senso del pudore” hanno svegliato i chiusini dal torpore, dall’assuefazione al nulla tipico delle mining town in dismissione…

Ci auguriamo che il “clima festivaliero” cresca. Perché la città ha bisogno di una scossa, di un risveglio, e invece rischia di perdere anche questa ennesima occasione. Perché lo sappiamo tutti, che a riflettori spenti, ci sarà qualcuno che dirà “non è giusto spendere tutti questi soldi per spettacoli che richiamano poche decine di persone”. La cultura, l’arte, quindi anche il teatro, la musica, la danza, non sono solo un mezzo di promozione turistica, né un business da botteghino, però due conti tutti li sanno fare. E c’è chi li fa in un modo e chi in un altro. Il Festival Orizzonti è sicuramente “aggiustabile” e migliorabile e a bocce ferme se ne potrà parlare, ma è un patrimonio importante, costruito con fatica,  che non può essere gettato al macero per scarsità di spettatori e di audience in città. Così come si potrà ragionare e discutere l’operato e le scelte della Fondazione e del Comune, senza però gettare al macero il lavoro, l’impegno profuso da decine di persone per la riuscita della manifestazione.

E’ Chiusi che deve darsi una mossa. Sono i chiusini che dovrebbero riprendersi la loro città, le loro piazze, il loro teatro, e il lago, e il Chiostro, e tutto il resto, ora che c’è vita. Magari aliena. Ma è vita. Tra pochi giorni sarà di nuovo il deserto dei tartari, senza nemmeno un nemico all’orizzonte.

Marco Lorenzoni

 

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