LA FUSIONE TRA I COMUNI, COME MAI NON SE NE PARLA PIU’? IL CASO DELLA VALNESTORE…

venerdì 17th, ottobre 2014 / 14:49
LA FUSIONE TRA I COMUNI, COME MAI NON SE NE PARLA PIU’? IL CASO DELLA VALNESTORE…
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Finalmente forse si riapre un ragionamento su un aspetto dell’assetto dello  Stato Italiano, tra i più importanti. Quello del numero dei municipi.
Tutti hanno la consapevolezza che parlare di razionalizzazione della spesa pubblica, di programmazione adeguata dei territori, senza affrontare il tema del riordino  e della fusione dei comuni italiani, è un non senso, è prendere in giro i cittadini.
La proposta del commissario alla Spending review Carlo Cottarelli, è quella  che in parte è già operante. Per i municipi che si associano o si fondono in  un’unica municipalità, propone una bel premio.
“In Italia 8 mila Comuni sono troppi”, ha affermato il Commissario
secondo cui  «bisognerebbe pensare a una riduzione che renda più facile il coordinamento».
Se di efficienza si vuole parlare, è la tesi, quella del numero dei campanili è una questione da affrontare.
In audizione alla commissione sull’anagrafe tributaria, Cottarell ha anche  proposto «un meccanismo premiale per i Comuni che si mettono assieme».
Il tema della riduzione delle amministrazioni locali è stato trattato nelle  fasi iniziali della valutazione sulla spending review con Palazzo Chigi, «ma  poi non si è più tornati sull’argomento», ha precisato il commissario al termine dell’audizione. Anche questa volta verrebbe da dire, le resistenze al  cambiamento si sono fatte sentire forti e chiare.
E invece sarebbe ora, anche se in forte ritardo, cominciare ad affrontare  seriamente questo argomento.
Sicuramente ci vuole determinazione da parte di una classe dirigente che tutti  i giorni urla che vuole cambiare verso al Paese. Il dibattito sul riassetto  dei comuni è noto che risulti essere uno dei temi più spinosi per la politica italiana. Lascito dell’alto medio evo, quando il comune rappresentava le prime  forme di governo locale e la rinascita della società civile, che sempre più si  contrapponeva al potere clericale, con i propri mestieri e professioni.
La  città tornava a essere, come nell’antichità, il centro propulsore della società  civile.
Ma oramai da tempo questo numero dei municipi in Italia è divenuto qualcosa di  anacronistico. Non risponde più da tempo alle esigenze di governo dei  territori, che sempre più devono pensare in termini di area vasta. Poi l’avvento delle tecnologie, specialmente quelle informatiche, hanno fatto venire  meno l’esigenza di molti uffici territoriali.
Dietro la maschera della municipalità, anche questo va detto, dell’identità  condita di storia si sono nel corso dei decenni sempre più consolidati poteri,  burocrazie, storie e carriere personali.

E mentre si affermavano questi  interessi corporativi e di Casta, i territori finivano per soccombere a farne  le spese in termini di programmazione urbanistica. La logica dei campanili in  termini di insediamenti ha prodotto nefasti risultati come quello di vedere  insediamenti produttivi realizzati vicinissimo a costruzioni civili o  turistiche com’è successo un po’ ovunque. In Val Nestore, per esempio . Dove 4 comuni hanno realizzato aree artigianli e industriali contigue lungo la Pievaiola, che e è la spina dorsale.
Nell’ultima campagna elettorale tutti gli schieramenti politici  che si contendevano la poltrona da sindaco, si erano impegnati con dichiarazioni assai roboanti, affinché si iniziasse un processo di fusione  almeno tra i tre comuni di Panicale, Piegaro e Paciano.

Le elezioni ci sono  state, i nuovi sindaci hanno cominciato a governare, ma di fusione dei municipi non se ne parla più.

Se si vuole raggiungere  questo obbiettivo, c’è una sola strada da percorrere: quella di obbligare per  legge la fusione. Altrimenti di unificazioni se ne seguiterà a parlare per i  prossimi cento anni.

E sono già 40 che se ne parla, senza alcun risultato.  Alla fine degli anni settanta, nel PCI si aprì una discussione su questo tema, a  suscitarla fu Armando Cossutta. Il dibattito in poco tempo dilagò  nelle sezioni del PCI, segno che il problema era reale. Quella iniziativa durò  poco, in breve tempo il confronto politico fu subito richiuso. Tutti i partiti oramai abituati già alla gestione del potere in modo opaco, gli uomini che si  annidavano negli apparati, temevano la perdita di controllo di quei loro piccoli centri  di potere e i comuni italiani, erano tra questi. La successiva tangentopoli  degli anni 90, sta tutta lì a testimoniare la giustezza di questo ragionamento…

Fu archiviata quella stagione, forse se fosse stata lasciata  maturare oggi ci ritroveremmo con molta meno burocrazia, meno sprechi, meno  municipalizzate, meno consorzi, meno partecipate e più efficienza e razionalità  sotto tutti i profili del governo del territorio e della società.

Ora si vuole  riaprire quel discorso? Speriamo bene. A  quel tempo io ed altri  compagni, per fare questa battaglia politica, ci rimettemmo quel poco di  “carriera” politica che avevamo davanti. Intervenne il capataz di turno, cioè  Germano  Marri, a quel tempo presidente della Giunta regionale, a difesa dello status  quo. Lui con la politica si è sistemato, la Val Nestore invece è al fallimento.

Renato Casaioli

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